La lettera di qualche settimana fa mi ha indotto a parlare della mia storia personale al fine di proporre un punto di vista diverso sulla questione della separazione tra genitori, quello della figlia. I miei genitori si sono separati moltissimi anni fa, ed entrambi risposati da parecchi. Fu mio padre ad essere lasciato e, nonostante ormai non credo ci sia più reale interesse per lei, continua invece ad esservi un “rancore” sordo per quell’abbandono. È come se il tempo si fosse fermato lì…quel che è peggio è che, per parlare male di lei, non manca di dire a me frasi tremende e a screditarla ai miei occhi, senza rendersi conto che è me che ferisce, non lei che non è mai presente a quei suoi moti di rabbia.
Non so come fermarlo, anche perché la sua malattia, una depressione cronica da una vita, mi ha sempre fatto vedere lui come vittima e mi ha spinto sempre a proteggerlo.
Il suo modo di fare, però, oggi mi riempie di rabbia ed anche di tristezza.

Cara M.,
di sicuro suo padre è molto arrabbiato, arrabbiato in quanto è stato “abbandonato”, un abbandono che certamente non ha mai voluto affrontare e superare. Ecco perché il “rancore” si è trasformato in rabbia, una rabbia che tende a “distruggere”. Una strategia questa che non porta ad acquisire una “serenità” nell’accettare o sopportare la separazione dalla sua ex moglie, anche dopo tanti anni. Il problema in questo caso assume però implicazioni peculiari: i sentimenti negativi di suo padre vengono rivolti a lei e non alla ex.
La tristezza che lei sta ora vivendo per ciò che accade nei suoi confronti nasce dalla sua sofferenza, dal dolore, di non ricevere quello che ha sempre dato a suo padre: comprensione, affetto e sostegno.
Invece la rabbia che prova è probabilmente legata ad un “nuovo modo” di percepire suo padre e al rifiuto, più che giustificato, di essere “utilizzata” come “sfogo” dei problemi degli altri, soprattutto se “gli altri” sono i genitori.
E allora non si faccia più coinvolgere in questo “triangolo perverso”.
Riveda e ribadisca il suo ruolo di figlia, esprima, in particolare a suo padre, quello che prova e le sue difficoltà nel vivere questa situazione.
In altre parole esca dal suo ruolo di “protettrice” e, senza sentirsi in colpa, cominci a rifiutare concretamente la rabbia a lei rivolta senza giusta motivazione.
Si faccia valere come persona che possiede una sua propria “identità”, intenda essere una figlia che vuole esprimere e ricevere l’affetto di entrambi genitori in modo trasparente.
Soprattutto non si senta più né sua “madre” né suo “padre” ma solo se stessa.